Siamo di fronte a una sfida epocale che richiede una vera e propria rivoluzione culturale per le nostre aree interne. La narrazione dominante che vede i centri urbani come unici protagonisti deve essere riscritta, poiché, come evidenziato dal vescovo Marconi: «La civiltà dei piccoli borghi è ormai da tempo soppiantata da quella delle grandi città costiere, che tendono a diventare sempre più grandi ed interconnesse solo tra loro, Symbola ha messo in luce i piccoli e grandi disastri che questo tipo di cambio culturale ha comportato per i territori e l’ecologia umana».
Durante il festival della Soft Economy a Treia, il vescovo Nazzareno Marconi ha tracciato la via per un rinascimento dei nostri territori. Non si tratta solo di resistere, ma di creare attivamente un nuovo modello di vita: «Non bastano resilienza e ritorno, ma è necessaria una neopopolazione dei territori da incoraggiare e sostenere – ha spiegato -, questo comporta però inevitabilmente l’elaborazione di una neocultura delle aree interne. Una neocultura dell’abitare e del produrre, che risulti dall’incontro virtuoso tra la cultura resiliente delle comunità che hanno storicamente abitato i borghi e gli apporti culturali dei nuovi abitanti. Un esempio lo possiamo trarre dall’opera di padre Matteo Ricci».
Ispirandosi alla visione dell’amicizia e dell’incontro profondo incarnata da Padre Matteo Ricci, siamo chiamati a costruire un’alternativa culturale solida, che non sia né colonizzazione né semplice mescolanza, ma una sintesi elevata. È un invito a riscoprire il valore della convivenza creativa: «Questo comporta una valutazione comune e concorde delle ricchezze culturali che i gruppi umani destinati ad incontrarsi e a convivere in uno stesso territorio possono mettere in campo, in vista dell’elaborazione di una nuova cultura – ha concluso monsignor Marconi – che comporti l’adozione comune di quanto di meglio e di più adatto appare in ogni cultura di partenza, in vista dell’abitare e del promuovere la vita nella sua pienezza in un dato territorio».
